I GIOCHI OLIMPICI INVERNALI DI P’YŎNGCH’ANG
Nel febbraio 2018 si sono svolti in Corea del Sud i Giochi Olimpici e Paralimpici di P’yŏngch’ang, mettendo la Corea del Sud in primo piano.
Seguiti da quasi ¼ della popolazione mondiale e con il 38% di copertura televisiva e digitale in più rispetto ai Giochi di Sochi 2014, i Giochi di P’yŏngch’ang hanno permesso alla Corea del Sud di apparire sotto una nuova luce per molti spettatori stranieri.
La popolarità dei Giochi Olimpici in tutto il mondo e l’entusiasmo delle nazioni per le competizioni sportive portano sempre una significativa copertura mediatica del paese e della città ospitante.
Così, essendo stata scelta per ospitare i Giochi invernali del 2018, la Corea del Sud si è rivelata agli occhi del mondo.
La “COREA”, un’unione coreana unica nel suo genere.
I Giochi hanno permesso alle due Coree di creare una tregua per tutta la durata di un evento sportivo, con la partecipazione degli atleti alla cerimonia di apertura sotto la stessa bandiera, utilizzando il nome “COR”, abbreviato dal francese “Corée”.
Questa unificazione ha avuto un grande impatto in tutto il mondo, indirizzando tutti gli occhi verso la Corea del Sud per tutta la durata di un inverno.
Riunendo quasi 20 milioni di spettatori al giorno solo negli Stati Uniti, le Olimpiadi di P’yŏngch hanno contribuito a cambiare la visione della Corea nel mondo.
I giocchi Olimpiadi, una vetrina del clima politico mondiale.
Sin dai primi Giochi Olimpici moderni che si sono svolti ad Atene nell’estate del 1896, le Olimpiadi sono sempre stati un riflesso della situazione politica mondiale.
Usata a volte come propaganda o a volte come vincolo di unione, la competizione sportiva è un campo pieno di sfumature, dove la posta in gioco a volte va oltre l’attività puramente sportiva.
Uno degli atti più eclatanti fu quando, nel 1968, Tommie Smith salì sul podio alle Olimpiadi di Messico con il pugno alzato in segno di protesta contro le condizioni di vita degli afroamericani.
Utilizzati durante la guerra fredda come trampolino di lancio per la propaganda sovietica e americana, i Giochi Olimpici divennero una corsa alle medaglie, trasformandosi in un luogo di confronto tra due ideologie che polarizzarono il mondo dal 1947 al 1991.
La Corea e i Giochi Olimpici sotto l’occupazione giapponese: una lotta per l’indipendenza.
La storia di Sohn Kee-chung, eroe dei Giochi.
Sohn Kee-chung con la bandiera coreana tolta dalla foto, pubblicata sul quotidiano Dong-A Ilbo (edizione del 25 agosto 1936).
La storia dei Giochi Olimpici ha visto molti casi in cui il clima politico ha prevalso sulla competizione sportiva.
La Corea fu sotto l’occupazione giapponese tra il 1910 e il 1945, costringendo gli atleti coreani a gareggiare ai Giochi di Berlino del 1936 sotto la bandiera giapponese.
Sohn Kee-chung (손기정) ha partecipato ai Giochi di Berlino e ha vinto una medaglia d’oro nella maratona.
Costretto a portare il nome giapponese Son Kitei, ha vinto questa medaglia sotto la bandiera dell’Impero giapponese.
Alla cerimonia di premiazione, però, Sohn Kee-chung si è rifiutato di cantare l’inno giapponese, dichiarando poi ai media che era vergognoso competere sotto le bandiere dei suoi colonizzatori.
Il giornale d’opinione coreano Dong-A Ilbo ha pubblicato la foto della presentazione della medaglia di Sohn Kee-chung togliendo la bandiera coreana dalle spalle dell’atleta, portando alla chiusura del giornale e all’incarcerazione di diversi giornalisti.
I Giochi Olimpici di P’yŏngch’ang sono stati un eccezionale trampolino di lancio per il riconoscimento internazionale della Corea come potenza economica e culturale e hanno aperto il dialogo tra Corea del Sud e Corea del Nord. Se questa edizione dei Giochi ha inviato un messaggio di pace al resto del mondo, i Giochi Olimpici sono spesso una vetrina dove tutte le tensioni del mondo si riflettono nella competizione sportiva.
Sohn Kee-chung, che ha combattuto in prima persona contro l’occupazione giapponese, ha pronunciato sul letto di morte: “I giapponesi sono riusciti a impedire ai nostri musicisti di suonare le nostre canzoni. Sono riusciti a fermare i nostri cantanti e a far tacere i nostri testi, ma non hanno potuto impedirmi di scappare”.